La piadina romagnola (e la storia di Paolo e Francesca)

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Adoro girare per l’Italia con la famiglia, per riempirmi gli occhi di scorci e paesaggi, la mente di storie e beltà, e le papille gustative di sapori e meraviglia.

Viviamo davvero nel Paese più ricco al mondo di “benessere”, nel senso del “saper vivere” la natura e la bellezza, con genialità e passione; ogni vacanza o piccolo viaggio in giornata, anche vicino a casa, non ci ha mai deluso, soprattutto quando ci portiamo a casa una ricetta, come questa.

Gradara Mura

Ingredienti per 8 piadine

(Ricetta della “Piadineria dalla Doni”):

  • 1 kg di farina bianca
  • 20 g di sale fino
  • 2 g di bicarbonato di sodio
  • 200 g di strutto
  • acqua quanto basta
  • squacquerone o stracchino
  • prosciutto crudo
  • rucola
  • altri ingredienti a piacere: funghi, zucchine grigliate, salame, pancetta arrotolata, prosciutto cotto, speck, formaggio brie, gorgonzola, grana, ecc.
  • nutella per la piadina finale!

Doni è la titolare di uno dei chioschi che si trovano nella piazzetta all’ingresso di Gradara, un bellissimo borgo medievale, in provincia di Pesaro e Urbino, così vicino alla Riviera Romagnola da averne ricevuto tutte le influenze culinarie.

L’abbiamo conosciuta l’estate scorsa, quando ci ha preparato al momento delle squisite piadine, facendoci accomodare all’ombra, in un angolino semplice ma molto curato. Ma è stata così simpatica che alla fine della nostra chiacchierata ci ha regalato la sua ricetta e alcuni consigli, che sono diventati preziosi per ricreare a casa nostra il gusto di un piatto semplice che in realtà ha tanto da raccontare, come il piccolo borgo di Gradara. Se volete subito la ricetta, scorrete oltre la storia che vi sto per raccontare, altrimenti mettetevi comodi.

Borgo di Gradara


Francesca da Polenta era una nobile fanciulla, figlia di Guido Minore Signore di Ravenna e Cervia e lì viveva tranquilla e serena la sua fanciullezza, sperando che il padre le trovasse uno sposo gradevole e gentile.

Nel 1275 Guido da Polenta decise di dare la mano di sua figlia a Giovanni Malatesta (detto Giangiotto Johannes Zoctus – Giovanni zoppo) che lo aveva aiutato a cacciare i Traversari, suoi nemici. Il capostipite, Malatesta da Verucchio detto il Mastin Vecchio o il Centenario, concorda ed il matrimonio è combinato.

Per evitare il possibile rifiuto da parte della giovane Francesca i potenti signori di Rimini e Ravenna tramarono l’inganno. Mandarono a Ravenna Paolo il Bello, fratello di Giangiotto. Francesca l’aveva visto, dal pertugio di una finestra e accettò con gioia. Il giorno delle nozze, senza dubbio alcuno, pronunciò felice il suo “sì” senza sapere che Paolo la sposava per procura ossia a nome e per conto del fratello Giangiotto. La mattina seguente scoprì l’inganno, e pensate alla sua disperazione!

Ma ben presto sembrò rassegnarsi, ebbe una figlia che chiamò Concordia, come la suocera, e cercava di allietare come poteva le sue tristi giornate. Paolo, che aveva possedimenti nei pressi di Gradara, sovente faceva visita alla cognata e forse si rammaricava di essersi prestato all’inganno! Uno dei fratelli, Malatestino dell’Occhio, così chiamato perché aveva un occhio solo, spiandoli, s’accorse degli incontri segreti tra Paolo e Francesca.

Ma eccoci all’epilogo della nostra storia: un giorno del settembre 1289, Paolo passò per una delle sue solite visite e qualcuno, forse Malatestino, avvisò Giangiotto. Quest’ultimo che ogni mattina partiva per Pesaro ad espletare la sua carica di Podestà, per far ritorno a tarda sera, finse di partire ma rientrò da un passaggio segreto. Mentre leggevano estasiati la storia di Lancillotto e Ginevra, i due si diedero un bacio e proprio in quell’istante Giangiotto aprì la porta e li sorprese. Accecato dalla gelosia estrasse la spada, Paolo cercò di salvarsi passando dalla botola che si trovava vicino alla porta ma il vestito gli si impigliò in un chiodo, dovette tornare indietro e, mentre Giangiotto lo stava per passare a fil di spada, Francesca gli si parò dinnanzi per salvarlo, ma …  Giangiotto li finì entrambi.

« Amor, ch’a nullo amato amar perdona, mi prese del costui piacer sì forte, che, come vedi, ancor non m’abbandona. »

(Divina Commedia, Inferno – Canto V, 100-107)

Gli sventurati amanti vengono così immortalati da Dante nella Divina Commedia, nel quinto canto dell’Inferno ed ancora oggi la loro storia d’amore, avvolta in un alone di mistero, affascina migliaia di persone.

Visitare il Castello di Gradara, vedere il leggio e pensare a Paolo e Francesca che lì si abbandonavano alle loro storie preferite, è un’esperienza unica: è come immergersi in un’altra epoca ed entrare in altre vite… quasi quasi ti aspetti di vedere uscire Paolo dalla botola che è ancora lì, con tutto il suo mistero.
A Gradara non può mancare poi una passeggiata lungo gli antichi camminamenti di ronda, un percorso di 400 metri sulla cinta muraria del XIV secolo, dal quale si vedono il mare della costa romagnola e le dolci colline marchigiane.

Gradara ronda


Tornando alle piadine, Doni consiglia di preparare l’impasto la mattina, metterlo in un sacchetto e lasciarlo in frigo fino a sera.

In una ciotola, mescolate la farina con il bicarbonato e il sale e amalgamate lo strutto usando le mani e aggiungendo l’acqua un po’ alla volta, finchè non otterrete un impasto bello solido e non appiccicoso.

Quando siete pronti per cuocere le piadine, dividete l’impasto in circa 8 palline e stendetele più sottili che potete, usando il mattarello e cercando di dare una forma rotonda.

Impasto

Mettete sul fuoco una padella piatta antiaderente e quando sarà ben calda adagiate le piadine, girandole una volta finchè saranno brunite.

padella

Farcitele in una metà, richiudete e servitele caldissime, così gli ingredienti del ripieno si scalderanno il giusto. La tradizione vorrebbe: squacquerone, crudo e rucola, ma potete usare fantasia e gusti personali.

Al prossimo viaggio!

Castello di Gradara

 

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